"Er passetto"

" Se vuoi essere padrone di Roma, acconcia Castello"- I perché del Passetto di Borgo, la Portica e del sistema difensivo del Centro della Cristianità. Tra i ricordi storici dell'Arte Fortificatoria.

(a cura del Gen. B. (ris) Luigi Infussi)

Er Coridore de Borgo - Il Corridoio di Borgo della Roma papalina è conosciuto come il Passetto di Borgo e lo si può osservare ancora oggi. Si tratta, infatti, di quel  tratto sopraelevato e fortificato delle Mura Vaticane che dal Palazzo Apostolico del Vaticano, alle spalle  del colonnato del Bernini, prosegue lungo via dei Corridori, via Borgo Sant’Angelo fino a Castel Sant’Angelo.

Fu in origine parte di una più ampia struttura difensiva che partiva dalle falde del colle Vaticano (1) sino al Mausoleo di Adriano, a protezione della minaccia del campo militare che il barbaro Totila ("l'immortale" in lingua gota), con vero nome Baduila re degli Ostrogoti, il “perfidusrex”, impiantò in quest’area della città intorno al 547, subito dopo la sua prima conquista di Roma, città che però non riuscì mai a tenere per molto tempo.

La costruzione, modesta nell’elevazione e irregolare nel tracciato, venne realizzata con grandi blocchi, in parte ancora visibili in prossimità di Porta Castello (2) .Quali siano state le ragioni che spinsero a realizzare questo strano ambiente sono più che ovvie: dare ai pontefici, in vista di un possibile pericolo che avrebbero corso durante un assedio, la possibilità di rifugiarsi rapidamente e ben protetti fra le munitissime mura del "Castello", anche se spesso venne utilizzato per condurre nelle  prigioni, da sempre presenti al suo interno, personaggi dei quali non si doveva conoscere né la permanenza né la carcerazione. Inoltre ebbe anche importanza perché, potendo scagliare frecce ed altri proiettili sulle strade e sugli edifici circostanti dagli archi aperti nel cammino di ronda, fu usato anche per controllare l’area del  Borgo stesso.

Il passetto è lungo circa 800 metri, collega i Palazzi Vaticani fino al Bastione San Marco di Castel Sant’Angelo.

 

A partire dal IV secolo, l'Impero romano, piegato da una inarrestabile ed irreversibile crisi politica ed economica, incapace di respingerne le invasioni, fu costretto ad accettare sempre più frequentemente e forzatamente lo stanziamento di popoli germanici ("barbari") nei suoi territori. Roma subì, così, il sacco dei Visigoti di Alarico I nel 410 e quello dei Vandali di Genserico nel  455, segnando da lì a qualche decennio, definitivamente, la fine dell'Impero romano d'Occidente e, con esso, l'inizio dell'Alto Medioevo.

I continui e ripetuti assedi del VI secolo  devastarono la città e si passò da una popolazione di circa 100.000 abitanti a non più di 30.000. Gran parte degli antichi edifici pubblici erano ridotti in rovina, mentre l'abitato si spostò principalmente nella zona del Campo Marzio e di Trastevere, presso il fiume.

La posizione del papato si rafforzò solo a partire dal VII secolo, ma già nel IX secolo si ebbe la  minaccia dei Saraceni. Le continue scorrerie musulmane resero insicuri i territori fuori dalla cerchia delle mura e spinsero alla traslazione dei corpi dei santi martiri (fino ad allora conservati nei cimiteri extraurbani dove erano stati sepolti e dove erano sorti dei santuari) nelle chiese entro le mura. A causa di tali eventi, alla metà dell'VIII secolo, Il Borgo, estremo rifugio della residua popolazione di Ostia alle foce del Tevere, fu trasformato da Papa Gregorio IV (827-844) in una cittadella fortificata, detta appunto "Gregoriopoli".

Ciò nonostante, nell'846, durante il pontificato di Sergio II, i Saraceni, oramai stanziatisi nella cittadina di Castelvolturno, a Nord di Napoli, da dove facevano regolari scorrerie nell'entroterra e sulle coste laziali, risalirono con una flottiglia armata le foci del Tevere per raggiungere il cuore di Roma. Arrivarono al porto di Porta Portese, nottetempo, con l'intento di attaccare e saccheggiare la ricca abbazia benedettina di San Paolo, adiacente all'ansa del Tevere e la più vicina alle loro navi. Il Comandante della guarnigione riuscì a sollevare una forte resistenza armata, e con l'innalzamento delle catene attraverso il Tevere impedì loro ogni via di fuga dal Fiume, ciò nonostante riuscirono ben presto a saccheggiare la basilica di San Pietro. Intorno alla metà del IX secolo, a causa di questa "instabilità", papa Leone IV (847-855) completò una cinta muraria, alta circa 5 metri, dotata di camminamento di ronda, a protezione della Tomba di San Pietro e degli edifici vicini, sfruttando, dove possibile, la struttura preesistente e andando a sistema con la "Portica". Nell’anno 848 venne posta la prima pietra di quella cinta muraria; il Papa diresse personalmente l’enorme numero di operai e, grazie al suo diretto interessamento, il lavoro fu completato in soli quattro anni. Il pontefice stesso inaugurò le mura il 27 giugno dell' 852, percorrendo l’intera cinta a piedi scalzi, celebrando il rito della consacrazione, seguito in lenta processione di popolo e dignitari della Chiesa; dotata di 3 porte, 44 torri e 1444 merli, per una lunghezza complessiva di circa 3 Km, venne eretta la muraglia, un'opera mista di pietra e calce. Con il termine, "La Portica", invece, si indicava un "camminamento" coperto, che dal ponte Elio (ponte Sant'Angelo) (3) , metteva in collegamento alla riva sinistra il mausoleo, fin verso il circo di Nerone e, anni più tardi, fino a raggiungere S.Pietro.

La costruzione la si può far risalire alla tarda epoca imperiale, quando gli imperatori Valentiniano, Graziano e Teodosio (anno 382), ebbero modo di restaurarla e di prolungarla anche oltre la riva destra del Tevere, appunto.

Tale percorso è ipotizzabile che venisse utilizzato come via Trionfale (4) , passando per il ponte omonimo.

La Portica era dunque costituita da una serie di colonne e pilastri, posti in due file attorno ai quattro metri, supponendo un metro per parte di spiovente del tetto, risultando una strada coperta larga circa 6 metri. Quindi  con questo termine si designavano vasti e lunghi porticati che da Ponte Elio, riva sinistra, non si ha certezza se in maniera continua o con qualche interruzione,  arrivavano  a piazza Montanara (5) e da lì a San Paolo (Porta Ostiense o Porta S.Paolo).

Cessata la funzione politica della portica transtiberina, essa servì inequivocabilmente per accedere alla piazza del Tempio, che la Cristianità eresse quasi sul circo Imperiale, con una struttura piu' elevata in alcuni tratti.

A partire dal XIII secolo,  il ritorno della sede papale a Roma dopo la parentesi avignonese, segnò una tappa di particolare importanza per Roma e per il Vaticano, perché i pontefici ritennero che quest’ultimo fosse meglio difeso e protetto rispetto al Laterano e quindi furono avviati i lavori per fortificare i nuovi palazzi all'interno della “Città Leonina”.

Alcuni studiosi ritengono che "il Passetto" fu realizzato intorno al 1277, durante il pontificato di Niccolò III- Giovanni Gaetano Orsini- (6) , il primo a trasferire la residenza papale dal Palazzo Lateranense al Vaticano. Relativamente all'arte "Fortificatoria",  i "maestri d'armi" di quei tempi introdussero e svilupparono nuove tipologie difensive, come ad esempio il defilamento. Esso,  nella sua originaria accezione, rappresentava per quei secoli e per gli elementi della difesa, una protezione contro i proietti del nemico. Agli albori dell'Era Moderna la storia presentò esempi di tale protezione, come nel "barraggio", una sorta di riparo fatto con palizzate, terra e fascine, tra muro e muro. Tali applicazioni classiche dello stesso principio vennero poi adottate nella seconda metà del XV secolo e nel secolo susseguente, durante il pieno sviluppo delle nuove fortificazioni. Per proteggere gli elementi della difesa dall'azione diretta dei proietti di artiglieria, si "ingrossarono" dapprima i parapetti di muratura e si sostituirono a questi  i parapetti di terra o terrapieni. L' idea di congiungere il Palazzo Apostolico con la Mole Adriana nacque nella mente del primo restauratore di essa, che fu Bonifacio IX, tra il 1389 e il 1404, dopo il consiglio datogli da Natale e Petruccio Sacco (Del Senato Romano-opera postuma 1782-del Conte Antonio Vendettini ): "se vuoi essere padrone di Roma, acconcia Castello". (Se tu vuoi mantenere lo Stato di Roma acconcia Castello Sant'Angelo) ... e fortificato Castel Sant'Angelo con muri e torri, a poco a poco prese il dominio di essa. Ma il vero e concreto inizio dei lavori avvenne sotto il pontificato di Giovanni XXIII (7) , Baldassarre Cossa, ovvero l’antipapa, tra il 1410 e il 1415, (dal diario di Anton di Pietro): lunedì 15 giugno 1411, "facesse incominciar la muraglia e l'andarineo, cioè il corridoio adoperandosi alcuni maestri operatori ... e se Alessandro VI acconciò in molte sue parti la stessa fabbrica dopo le guerre è da restauratore e non da inventore" (La Portica di San Pietro di Pasquale Adinolfi 1859). Fu specialmente, appunto, al tempo di Bonifacio IX che le costruzioni e le opere difensive ebbero un grande sviluppo.

Il motivo principale della preferenza al Vaticano rispetto al Laterano deve riconoscersi nel fatto che il ritorno dei papi a Roma, non segnò per il papato un periodo di quiete politica: Roma, era una città in preda all'anarchia a causa delle lotte tra la fazione nobiliare e quella popolare, e nella quale ormai il  potere del Clero era più formale che reale. Anzi si scatenò un periodo più violento ed agitato: i "turbamenti" delle famiglie dei Colonna e degli Orsini, ed  il popolo di Roma ora favorevole ora contrario al Papa, dettero modo al clero, nel recinto "leoniniano" in grande e nel recinto del Vaticano in ristretto, di racchiudersi e di difendersi, di tenere in qualche modo testa agli avversari. Nei secoli, fu modificato e rinnovato più volte e da più papi, tra cui Niccolò V (1447-1455), Sisto IV (1471-1484).

Ma le opere difensive erano necessarie anche sulla costa: a Ostia, nel 1483 fu dato inizio alla costruzione del Castello, voluta dal cardinale Giuliano della Rovere (futuro Papa Giulio II, 1503-1513) e fu affidata all’architetto fiorentino Baccio Pontelli. Altissimo esempio di architettura militare rinascimentale,per quegli anni, il complesso include un circuito perimetrale di casematte (camere da sparo) che raccorda tre torrioni (uno dei quali inglobò la torre di Martino V), un "rivellino" (8) e un ampio fossato circostante.

Come già detto, anche Alessandro VI (1492-1503), a Roma, dette primaria importanza alle opere di difesa, con l’aggiunta di percorsi per le ronde, merlature, torri di avvistamento, fortificazioni e sopraelevazioni, con lo scopo di controllare l'area del Borgo sottostante e reprimere eventuali sommosse. In particolare, prima del Giubileo (9) secolare del 1500,  liberò completamente l'area prospiciente Ponte Elio dalle botteghe e dalle casette, demolì le due torri che restringevano lo sbocco della riva destra e le sostituì con un torrione addossato alla cortina quadrata del Castello. Inoltre fece ingrandire le torri d'angolo fatte erigere da Nicola V, e ne fece costruire una nuova all'angolo sud-ovest, modificando completamente il muro di cinta tra il Castello ed il Tevere, facendo realizzare un grandiosa Porta dal Sangallo il vecchio (Antonio Giamberti - N.Firenze 1453 o 1455- M. ivi 1534), denominata San Pellegrino.

Porta San Pellegrino
Porta San Pellegrino.

Con molta probabilità fu proprio il passetto che una prigioniera illustre comeBeatrice Cenci (10) percorse in catene e in tutta segretezza, prima dell’esecuzione capitale, per parricidio, nel 1599.

In conclusione e per riepilogare il progressivo sviluppo delle opere di difesa, anche le "mura leonine" subirono, nel corso dei secoli, una continua evoluzione, affinando ed implementando sempre più i propri elementi.

Per semplificazione, lo sviluppo lo si ebbe in successione con Niccolò III (1277-1281), poi con Niccolò V (1447-1455) e con Alessandro VI. Giuliano da Sangallo, costruì (1483-88) sempre "al soldo" dei pontefici, le magistrali e celebri casematte della citata rocca d'Ostia, che assicurarono l'illuminazione e la pronta evacuazione del fumo, oltre alla costruzione della prima cannoniera doppia tromba.

Basilica di San Pietro
L'antica Basilica di San Pietro in una ricostruzione postuma.

Per avere un quadro più completo dell' implementazione del dispositivo  difensivo a mare, come già detto, nel 1400 Papa Martino V aveva fatto edificare un torrione cinto da un fossato a guardia del Tevere. In seguito, per controllare le vicine saline e i traffici commerciali sull’ultimo tratto navigabile del fiume, il cardinale Guglielmo d'Estoutville, vescovo di Ostia dal 1461 al 1483, ripristinò la cinta muraria della Gregoriopoli e fece erigere al suo interno tre file di case a schiera.

Il ruolo innovativo dei due fratelli Sangallo, Giuliano e Antonio, in particolare, fu particolarmente importante nella definizione del fronte bastionato e nella forma stessa del bastione che lentamente nel corso del loro lungo operare passò dal modello del torrione circolare al puntone poligonale fino al bastione vero e proprio con fianchi rientranti, come si può vedere in numerose cittadelle e fortificazioni, molte ancora esistenti, progettate per  i vari "potenti".

Per citarne alcune: la Fortezza di Poggio Imperiale a Poggibonsi (1488-1511) commissionata da Lorenzo il Magnifico, quella di Grottaferrata, la Fortezza di Nettuno (dal 1501 nel progetto di questa fortificazione nota come Forte Sangallo è stato ipotizzato un suo ruolo nel progetto, eseguito però da Antonio), la Fortezza dei Fiorentini a Pisa, la cui realizzazione fu eseguita con la supervisione di Niccolò Machiavelli. Per la cronaca, però, gli "storici della Fortificazione", individuano, in Alberto Durer come l'inventore dell'ordinamento casamattato, ben quaranta anni dopo la rocca di Ostia.

 

E nel resto di Europa, in Italia? Nel resto di quel mondo, in Europa, con la nascita e la crescita degli agglomerati, per ovvie ragioni, si registrò inizialmente il fenomeno dell'incastellamento, ben più vasto della semplice costruzione dei castelli, risultante da un  sviluppo temporale, in tre frasi: localizzazione (controllo strade consolari, per assicurare i traffici e lo sviluppo delle attività locali ), fortificazione dell'abitato, concentrazione dell'insediamento.

Inizialmente le strutture avevano esclusivamente un semplice compito  di barriera (lo muro) e non di difesa attiva, anche in conseguenza delle limitate capacità tecnologiche possedute. Successivamente, grazie alle maestranze locali e non, é stato possibile raggiungere una certa evoluzione. Un esempio ancora in parte visibile, individuabile, é nella gola della "Tragara" che sovrasta il fiume Mingardo, passo del M. appunto, nel Cilento; lo scopo dell'insediamento ( torre di avvistamento, case, castello)  era rappresentato dal controllo di questa gola, somigliante ad un fiordo per la sua vicinanza al mare: il fiume Mingardo, infatti, rappresentava la principale arteria di collegamento fra il golfo di Policastro ed il porto di Palinuro. Queste case costituivano “lo muro” , il limite fisico tra un’abitazione e la campagna, una barriera simile alle mura, considerata anche la morfologia del territorio, perché le condizioni dei luoghi non consentivano altre possibilità di costruzioni.

A partire, dal IX secolo, in tutta Europa  ed in particolare in tutto il sud Italia, sorsero chiese, conventi e monasteri.

Le  chiese vennero fortificate non solo per custodire i valori in esse contenuti, ma anche perché spesso erano l'unica costruzione in muratura alla quale appoggiare una difesa per la popolazione.

Già dal Medioevo,  tempo di continui  assedi,  i monasteri sono cittadelle fortificate, e crescono a dismisura, riempiendosi di religiosi e di gente comune, diventando ricchi di manovalanza e di terre e di tesori come veri e propri feudi. In un’epoca di invasioni, violenze, guerre e saccheggi, le chiese si trasformano in un imprescindibile punto di riferimento; e ancor più accade ai monasteri i quali, nati per esigenze di isolamento e preghiera, via via diventano altro, poiché la disperata esigenza di salvezza anche fisica porta gli uomini e le donne del tempo  a sceglierli come proprio rifugio. Si spiega, così, il sorgere e il diffondersi dei monasteri nelle campagne, e anche dentro le stesse città;  si spiega, altresì, come interi territori (terre, attività e persone) si siano affidati da subito alla protezione di un monastero.  Il monastero divenne presto garanzia per molti, poiché l’esigenza di protezione e di salvezza fu drammaticamente inscritta nel cuore degli uomini di quei tempi. E’ così che ogni monastero si trasforma in un potentissimo attrattore, e accoglie persone, coagula possedimenti e terre, diventa cittadella in cui una comunità vastissima si rifugia: "difesa e preghiera per la disperata ricerca di salvezza". E’ proprio per la sua capacità di rispondere all’ansia di protezione dei più, e di proporsi come istituzione sociale, che il monastero altomedievale può moltiplicare sé stesso in pochi decenni e può crescere in modo esponenziale: a testimonianza di questa incredibile vitalità le chiese verranno costruite e ricostruite più volte, con un ritmo impressionante, giustificato solo dalla necessità di adeguarsi progressivamente ad una realtà sociale in continua ascesa.

Mont Saint Michel
Mont Saint Michel.
San Romedio (TN)
San Romedio (TN).

Tornando al Passetto, la importanza strategica emerse maggiormente nei periodi più oscuri e dolorosi per Roma e per la Chiesa, come nell’anno 1494, quando papa  Alessandro VI Borgia ne percorse gli 800 metri di lunghezza per trovare rifugio al Castello, durante l'invasione di Roma da parte delle milizie di Carlo VIII di Francia. O quando, il 6 maggio 1527, Clemente VII Medici (1523-1534) trovò rifugio a Castel Sant’Angelo, durante il Sacco di Roma perpetrato dai Lanzichenecchi di Carlo VIII. Il Papa si salvò per il "rotto della cuffia" (11) , correndo lungo lo stretto passaggio, mentre i cortigiani e i nobili che lo accompagnavano lo proteggevano con un mantello scuro, per evitare che la veste bianca divenisse un bersaglio facile. La cronaca narra che a sbarrare la strada all’invasore furono le guardie svizzere che, battendosi  coraggiosamente  favorirono  la ritirata del pontefice,  ma vennero trucidate. Ancora oggi quelle mura sono segnate dai numerosi colpi di archibugio sparati dai mercenari tedeschi: fu questa l'ultima grande impresa legata al Passetto, ma non l’interesse per gli aneddoti che evoca. Tra questi ne ricordiamo uno tra i più curiosi: si dice che Rodrigo Borgia (Papa Alessandro VI) lo usasse per raggiungere gli appartamenti dove incontrava le sue amanti. Da questo racconto nacque un’usanza del tutto particolare, ovvero quella per cui, percorrendo 77 volte avanti e indietro gli 800 metri del Passetto, poco più di 60 km, gli uomini riuscissero a recuperare la virilità perduta.
Prese  parte a quella difesa di Roma, del 1527, " inquadrato" nella  compagnia di Paolo Luzzasco (12) , il giovanissimo Giulio Savorgnan (13) , che rimase ferito in combattimento, lo stesso che sul finire di quel secolo, riconosciuto da tutte le potenze, si ritagliò un posto di primissimo piano sia per l’autorità in combattimento ed in politica, sia per l’importanza delle sue opere fortificatorie. Dalla cronaca di quel tempo, nel 1529, nelle fortificazioni del Monte a San Miniato di Firenze, eseguite da Michelangelo Buonarroti, i terrapieni furono sollevati fino all'altezza dei parapetti delle opere permanenti. A Roma, invece, per i timori di assalti musulmani di Solimeno II, Paolo III(1534-1549) promosse il rafforzamento della cinta verso sud, ovest e nord, ampliando il recinto e bastianandolo. Infatti a partire dal 1542 fu il Castriotto (14) che si occupò dell'ammodernamento di diverse fortificazioni, tra cui la complessa progettazione delle mura del Borgo, partecipando anche a campagne militari come l'assedio della Mirandola nel 1551 le cui fasi vennero illustrate e descritte nel suo trattato. Mentre a riparo dei tiri indiretti o di rimbalzo, già studiati  sul finire del secolo XV, il Tartaglia propose nel 1546 le traverse lungo i terrapieni,  per difendersi dai tiri arcuati.  Fu poi Paolo IV (1555-1559) a volere i bastioni di Castel Sant'Angelo e Pio IV (1559-1566) ingrandì la cinta muraria, congiungendo il bastione del Belvedere (bastioni di Michelangelo), con la fortificazione del Castello. Fu Latino Orsini, nel 1559 che  diresse le fortificazioni di terra progettate dal padre Camillo per Castel Sant'Angelo e costruì parte delle Mura di Civitavecchia. In particolare fortificò il Borgo Leonino ed il borgo di Castel Sant'Angelo, che gli valse la nomina di maestro generale di campo dell'esercito pontificio. Successivamente, circa un anno dopo, fu "arruolato" Francesco Laparelli (15) , inizialmente per implementare le fortificazioni di Civitavecchia. Nello stesso anno progettò di munire di fortificazioni la nuova foce del Tevere e nel 1561 diresse i lavori di difesa al colle Vaticano. Nel 1565 terminò il grandioso pentagono bastionato di Castel Sant' Angelo e fece progredire la cinta bastionata del borgo presso il Vaticano. Per ottenere ciò, mi preme sottolineare, che sin dai primi anni del 1500, lo Stato della Chiesa si dotò di truppe tecniche, organicamente presenti in ciascun reparto delle Milizie Pontificie, una squadra di guastatori, costituita da un numero variabile in relazione ai compiti da assolvere, da artigiani, operai e contadini, al comando di un Capitano o Commissario.  Un aspetto interessante riguarda i materiali che vennero utilizzati nel corso di quei secoli, e sui quali non si pagava dazio:  vi era infatti apposta la dicitura “Ad U.F.A.”, ovvero “Ad Uso Fabrica Apostolica”, da cui deriva l’odierno modo di dire “a ufo”, ossia gratis, a spese altrui. Dalla metà del  XVI   e lungo l'arco di un trentennio vennero, poi alla ribalta  le tecniche del Savorgnan eseguite in  Dalmazia e nelle Terre “da mar” della Repubblica di Venezia, bisognose di difese sicure contro la minaccia dei Turchi: specificamente rivolte alla soluzione dei problemi costruttivi dei baluardi e delle cortine delle fortezze. Un esempio furono le Opere di Difesa di  Nicosia (1567):  l’intera periferia cittadina, 80 chiese e 1800 case racchiuse entro le vecchia mura  furono abbattute per far posto a nuovi bastioni, cortine, fossati e baluardi. Al termine dei lavori, si contarono ben  undici  baluardi a forma di undecagono regolare, alti 4/5 metri, costruiti in terra battuta e ricoperti di una sottile muratura, in grado di assorbire i colpi dell’artiglieria nemica. Tali tecniche ovviamente  influenzarono decisamente  anche la progressiva implementazione delle difese della Roma dei Papi.

Opere di Difesa di  Nicosia
Opere di Difesa di Nicosia.

 Con il passare dei secoli , però, a causa dell' introduzione delle artiglierie rigate e della  maggior potenza e precisione del tiro "arcato", i metodi di defilamento garantirono risultati parziali , poi sempre più incompleti fino a essere inefficaci e rappresentare un pericolo per la difesa. Ma questa è una altra storia !!!!

I secoli  successivi  furono di relativa tranquillità per Roma, durante i quali il papato cercò di allargare la propria presenza tramite iniziative educative e assistenziali, dedicando maggiori energie a Roma e ai Romani, fondando scuole, ospedali, e provvidenze per i poveri.

Ah dimenticavo,  Er Coridore de Borgo dal Giubileo del 2000, è tornato ad essere visitabile, mediante  visita guidata.

(a cura del Gen. B. (ris) Luigi Infussi)

 

Opere di Difesa di  Palmanova
Palmanova doveva inizialmente essere dotata di undici baluardi (come Nicosia), ma motivi economici ne ridussero il numero a soli nove. La forma che ne deriva è quindi un poligono regolare a 18 angoli.
Difese di Roma del 1527
Difesa di Roma del 1527.

 

 

 

 

Note


Nota 1

Il Vaticano è una regione a destra del Tevere, regione che all'epoca imperiale non era inclusa nella città , come non lo fu nel Medio Evo, fino al tempo di Sisto V (1585-1590), il quale costituì il XIV rione, con il nome di Borgo. Il nome di Vaticano, si suole farlo derivare dai Vaticinii, dal vagito puerile.(torna al testo 1)


Nota 2

Si trovava nel tratto di mura dovuto all'ampliamento della “Civitas Leonina” operato intorno al 1563 da Pio IV, circa all'incrocio tra le attuali via di Porta Castello, via delle Fosse di Castello e via G. Vitelleschi e  fu demolita alla fine dell’Ottocento dal piano regolatore umbertino. Porta Castello, aperta nelle mura da Pio IV Medici, zio di S.Carlo Borromeo, nel 1563, costituì un ingresso importante al Vaticano perché di qui passarono i cortei dei grandi re e imperatori europei che venivano a Roma per essere incoronati in S.Pietro. Per quanto è dato sapere, porta Castello doveva essere gemella di Porta Angelica, sia per ciò che riguarda l'aspetto, sia per lo stemma di Pio IV, sia per le iscrizioni. Secondo il Piale (che scrive nel 1828), sotto lo stemma si leggeva infatti su entrambe le porte “PIUS IIII. PONT. MAX. PORTAM NOVAM ET MOENIA A FUNDAMENTIS EREXIT” e su entrambe le architravi “QUI VULT SALVAM REMP. NOS SEQUATUR”, “Chi vuole salva la Repubblica, ci segua”, esortazione che proveniva dai due angeli scolpiti ai lati di entrambe le porte. La Castello recava, in più, un'altra iscrizione: “PIUS IIII PONT. MAX. LATAM ET RECTAM AD ANGELICAM DUXIT”. Via di Porta Angelica prende il nome dalla omonima porta edificata da papa Pio IV nel 1563 e che si apriva lungo il nuovo tratto di mura che, lungo l’asse piazza del Risorgimento-via Porcari-via Alberico II, si congiungeva con i bastioni di Castel Sant'Angelo. Porta Angelica, così denominata dal nome di battesimo di papa Pio IV, ovvero Giovanni Angelo Medici, fu costruita come alternativa a Porta del Popolo, per i pellegrini che provenivano da nord ed erano diretti alla Tomba di Pietro: per questo motivo il pontefice fece realizzare anche una via lunga e diritta, chiamata Strada Angelica (oggi corrispondente a via Ottaviano-via Barletta-viale Angelico) e che, dopo avere costeggiato il Tevere per circa 1 km, si congiungeva con la via Cassia all’altezza di Ponte Milvio.La Porta era priva di merli  e la sommità piana veniva utilizzata per esporvi le teste dei condannati a morte, racchiuse entro gabbie in ferro, severo e terribile monito alla cittadinanza ma anche ai pellegrini che entravano a Roma: soltanto nel 1840, con papa Gregorio XVI, l’usanza fu interrotta. Porta Angelica si apriva, come si può osservare nella pianta del Nolli del 1748, proprio in corrispondenza di via di Porta Angelica e fu demolita nel 1888, insieme all’intero tratto di mura collegato al Castello nell’ambito dei lavori di urbanistica che dovevano rendere più moderno e fruibile il quartiere. Mentre Porta del Popolo, il cui nome originario era Porta Flaminia, perché da qui usciva, ed esce tuttora, la via consolare Flaminia che anticamente aveva inizio molto più a sud, dalla Porta Fontinalis, nei pressi dell’Altare della Patria, nel X secolo ebbe il nome di San Valentino dalla basilica e catacombe omonime. L’origine del nome della porta e della relativa piazza su cui si apre non è ben chiara: si supponeva che potesse derivare dai numerosi pioppi che ricoprivano l’area, ma è più probabile che il toponimo sia legato alle origini della chiesa di Santa Maria del Popolo, che fu eretta nel 1099 da papa Pasquale II appunto con una sottoscrizione più o meno volontaria del popolo romano. Data l’importanza rivestita dalla via Flaminia, fin dai primi tempi della sua esistenza ebbe il ruolo prevalente di smistamento del traffico cittadino piuttosto che un utilizzo difensivo. Questo portò alla supposizione, peraltro dubbia, che fosse stata inizialmente costruita con due fornici (con le due torri cilindriche laterali) e che solo in epoca medievale, venute meno le esigenze di traffico anche per il crollo demografico, fosse stata riportata ad una singola arcata. All’epoca di papa Sisto IV la porta si presentava seminterrata e vittima di una secolare incuria, danneggiata dal tempo e dalle violenze di assedi medievali; il superficiale restauro si limitò ad un parziale puntellamento e rafforzamento della struttura. La porta si trova ancora oggi un metro e mezzo circa al di sopra del livello antico. I detriti trasportati dal fiume nelle sue saltuarie inondazioni ed il lento e costante sfaldamento della collina del Pincio avevano rialzato il terreno circostante, rendendo non più procrastinabile la sopraelevazione dell’intera porta, necessità che già era stata avvertita (ma ignorata) al tempo della ristrutturazione operata all’inizio del V secolo dall’imperatore  Onorio.
L’aspetto attuale è pertanto frutto di una ricostruzione cinquecentesca, resa anche necessaria dalla rinnovata importanza che, in quell’epoca, la porta aveva di nuovo assunto, dal punto di vista del traffico urbano proveniente dal nord. La facciata esterna fu commissionata da papa Pio IV a Michelangelo, che però trasferì l’incarico a Nanni di Baccio Bigio, il quale realizzò l’opera tra il 1562 e il 1565 ispirandosi all’Arco di Tito. Le quattro colonne della facciata provengono dall’antica basilica di S.Pietro e inquadravano l’unico grande fornice, sovrastato dalla lapide commemorativa del restauro e dallo stemma papale sorretto da due cornucopie; le originali torri a base circolare vennero sostituite da due possenti torri di guardia quadrate e tutto l’edificio venne sormontato da eleganti merlature. Nel 1638 tra le due coppie di colonne vennero inserite le due statue di S. Pietro e S. Paolo, opera di Francesco Mochi, che erano state rifiutate dalla Basilica di S.Paolo (e restituite allo scultore, senza pagarlo). (torna al testo -2)


Nota 3

Pons Aelius (ponte Elio), pons Hadriani (ponte di Adriano) o ponte di Castello, è un ponte che collega piazza di Ponte S. Angelo a lungotevere Vaticano, a Roma, nei rioni  Ponte  e  Borgo. Fu costruito a Roma nel 134 dall'imperatore Adriano, su progetto di un certo Demetriano. (torna al testo -3)


Nota 4

Molto probabilmente il nome dato alla strada risale all'evento dell'epoca romana della vittoria di Furio Camillo sulla città di Veio, al quale fu concesso il Trionfo proprio sulla strada che da Veio portava al colle del Campidoglio. Il ponte Neroniano o ponte Trionfale, consentiva all'antica via Trionfale,  di attraversare il fiume. Il ponte venne costruito sotto l'imperatore Nerone nel primo secolo, per migliorare i collegamenti con le sue proprietà sulla riva destra del fiume (tra cui la villa della madre Agrippina). Non si conosce l'epoca della distruzione: gli storici fanno risalire la sua inutilizzazione a partire dal VI secolo ai tempi della guerra con i  Goti. Attualmente nei periodi di magra del fiume sono visibili i resti dei piloni, in prossimità dell'odierno  ponte Vittorio. I resti in elevato dei piloni furono demoliti nel  XIX secolo per facilitare la navigazione. Attribuzione del Trionfo nell'Antica ROMA. Il senato romano attribuiva il trionfo ai generali vittoriosi che ne facevano richiesta. Accordato il trionfo, il Senato  ne fissava la data e fino a quella, al condottiero non era permesso entrare in Roma: egli poteva però sostare con tutto il suo esercito nel Campo Marzio, fuori delle mura della città. Nel giorno della grande cerimonia, una immensa folla si accalcava lungo le vie per le quali doveva passare il corteo trionfale che, uscito dal Campo Marzio, percorreva il Velabrum (tra il Campidoglio e il Palatino), poi il Circo Massimo, la via Sacra, il Foro e infine saliva il colle Capitolino per fermarsi davanti al tempio di Giove nel delirio generale. Il corteo era aperto da un gruppo di Senatori, seguiti da suonatori di corni e di trombe, che eseguivano le marce militari. Subito dopo, i carri carichi del bottino di guerra mentre gli oggetti di massimo valore erano portati da alcuni legionari su portantine particolarmente paludate e ornate.A Seguire  gli animali sacri che dovevano essere sacrificati a Giove sul colle Capitolino con dietro i prigionieri di guerra con le mani incatenate. I littori, con la fronte e i fasci ornati di ghirlande, precedevano il trionfatore che stava in piedi su un cocchio dorato, indossava una veste di porpora con foglie di palma dorate, aveva intorno al capo una corona di alloro e recava in mano un ramoscello di alloro. I condottieri e i principi nemici erano legati dietro al cocchio del trionfatore e negli ultimi anni della Repubblica, vennero legati con catene d’oro. Procedevano poi le legioni vittoriose che inneggiavano al vincitore.Giunto sul Campidoglio, il trionfatore offriva a Giove il ramoscello di alloro e le ghirlande che avevano ornato i fasci dei littori. Attorniato dai sacerdoti del tempio, si procedeva ad un sacrificio di un bianco toro in onore di Giove. La cerimonia si concludeva con un banchetto, aperto a magistrati e Senatori. Tutti i legionari venivano quindi congedati dopo la distribuzione di una parte del bottino di guerra. (torna al testo -4)

 

Nota 5

Un'antica e pittoresca piazza di Roma posta ai piedi della Rupe Tarpea, nelle immediate vicinanze del Campidoglio, delimitata in parte dal Teatro Marcello).  La rupe Tarpea (latino: RupesTarpeia o SaxumTarpeium) è la parete rocciosa posta sul lato meridionale del Campidoglio a Roma, dalla quale venivano gettati i traditori condannati a morte, che in tal modo venivano simbolicamente espulsi dall' Urbe. Si tratta di un colle di tufo che ospita diverse aree verdi come per esempio il Giardino Belvedere di Villa Tarpea.(torna al testo -5)


Nota 6

Gli Orsini hanno dato i natali a cinque Papi: in particolare Niccolò III, che costruì il passetto tra Castel Sant’Angelo, che era la fortezza della sua famiglia, e il Vaticano. Inoltre  Annoverano quaranta cardinali e diciotto santi.
Unica famiglia citata nella Divina Commedia di Dante Alighieri, nel Principe di Machiavelli e da Shakespeare nella Dodicesima Notte, dove il protagonista è il Duca Orsini. In particolare, prese parte alla difesa di Roma del 1527, Valerio Orsini (1504-1550, figlio di Giulio Orsini),alla testa di duecento  cavalieri difese vanamente Ponte Sisto con  Gian Antonio Orsini, Giovanbattista Savelli, Giampaolo di Ceri e Simone Tebaldi.Nel ritirarsi dalla città raccolse un corpo di veterani con il quale punta verso le Marche. Nei pressi di Camerino batté un contingente tedesco diretto a Roma. (torna al testo -6)


Nota 7

Giovani XXIII, appartenente alla famiglia dei Cossa, o Coscia, signori delle isole di Procida e Ischia, legata alla dinastia angioina, fu eletto dal Concilio di Bologna del 25 maggio 1410 , un Concilio mai riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa;venne poi dichiarato antipapa, pur se per circa cinque secoli ufficialmente continuò a figurare come un papa legittimo. Durante il periodo del suo pontificato vissero altri due papi (di cui un antipapa) in sedi differenti: Papa  Gregorio XII (deposto dal concilio non riconosciuto di Pisa del 1409) a Roma e l'antipapa Benedetto XIII  ad Avignone. (torna al testo -7)


Nota 8

Un rivellino o revellino è un tipo di fortificazione indipendente generalmente posto a protezione di una porta di una fortificazione maggiore. Si annovera tra le difese esterne la torre distante a copertura e protezione del recinto, precursore dei rivellini(a pianta triangolare o semicircolare- a mezzaluna-). Il rivellino realizzato da Leonardo da Vinci  a Locarno, rappresenta il primo esempio di tale fortificazione militare. (torna al testo -8)


Nota 9

Il Giubileo Cristiano fu istituito da Bonifacio VIII nel 1300. Giubileo o Giubbileo è una parola ebraica che deriva da "jobal" che significa remissione secondo San Girolamo, libertà  secondo Tito Flavio Giuseppe.(N. a Gerusalemme 37 d.C. -  M. a Roma  dopo il 100. Fu scrittore e storico ebreo antico con cittadinanza romana. Conosciuto anche come Flavio Giuseppe, Giuseppe Flavio o semplicemente Giuseppe. Di casta sacerdotale, fu della setta dei farisei. Partecipò alla rivolta contro i romani (67); arresosi a questi dopo l’assedio a Iotapata, predisse a Vespasiano l’impero, entrando così nei favori della famiglia Flavia. Sue opere principali sono la Guerra giudaica, che narra la storia ebraica da Erode il Grande alla distruzione di Gerusalemme, e le Antichità giudaiche, che trattano della storia del popolo ebraico dalla creazione del mondo all’inizio della guerra contro Roma); nell' anno giubilare erano posti in libertà gli schiavi, e quelli che avevano venduto od impegnati oggetti, o terreni, ne ritornavano in possesso.   Il papa Bonifacio fissò il periodo giubilare a cento anni, differentemente dagli ebrei ogni cinquanta. Clemente VI (1342-!352) ridusse gli anni del giubileo a cinquanta, celebrando quello del 1350. Ma nell'anno 1383, Urbano VI  celebrò il Giubileo su decisione presa da Urbano V, ogni trentatre anni, come l'età di Gesù Cristo. Sotto  Giovanni XXIII, l'antipapa, si celebrò nel 1416, poco rimarchevole, dato lo stato dell'allora istituzione papale, combattuta dalle lotte feudali e dallo scisma in atto. Nicola V riportò il periodo giubilare, e quello del 1450 fu il più grandioso del secolo XV, come fu grande tutto ciò che provenne dall'azione del Papa umanista, iniziatore della rinascita. Purtroppo, però, fu funestato dalla peste che falcidiò migliaia di pellegrini nella primavera, e fu inoltre funestato dal disastro di Ponte Sant'Angelo,  il 19 dicembre 1450: cedettero i parapetti a causa della folla, e perirono in quella circostanza circa duecento persone. Dopo tale giubileo, Paolo II, volle portare il periodo a venticinque anni, per cui avrebbe dovuto iniziare nel Natale del 1474, ma morì nel 1471, quindi la celebrazione fu curata da Sisto IV. Nel 1500, ci fu la celebrazione solenne e grandiosa di Alessandro VI, regolando il modo di aprire la Porta Santa, non solo in San Pietro, ma anche in altre tre basiliche, per le quali delegò i cardinali: San Giovanni, Santa Maria Maggiore, San Paolo. Poi regolarmente, per il secolo XVI, furono celebrati i giubilei, nel 1525 (Clemente VII), nel 1550 (Giulio III), nel 1575 (Gregorio XIII) e nel 1600 (Clemente VIII). Urbano VIII, in particolare, che voleva inaugurare il nuovo tempio di San Pietro, completandolo nel giubileo del 1625, dovette rimandare l'inaugurazione e quindi la consacrazione all'anno successivo, il 16 novembre del 1626, a causa dei ritardi del completamento della facciata a cura del Bernini. (torna al testo -9)

 

Nota 10

L'esecuzione di Beatrice, della matrigna e del fratello maggiore avvenne la mattina dell'11 settembre 1599  nella piazza di Castel Sant'Angelo gremita di folla. La giornata molto afosa causò il decesso di alcuni spettatori per insolazione, altri rimasero uccisi nella calca e qualcuno invece scivolò nel Tevere, morendo annegato. La decapitazione delle due donne fu eseguita con la spada. La prima a essere uccisa fu Lucrezia, seguì poi Beatrice e infine Giacomo, che fu seviziato durante il tragitto con  tenaglie arroventate, mazzolato ed infine squartato. Alcuni dettagli relativi ai momenti cruciali dell'esecuzione sono contenuti nelle Memorie romanzate di Giambattista Bugatti", famoso con il soprannome di Mastro Titta, boia dello Stato Pontificio dal 1796 al 1864. (torna al testo -10)


Nota 11

Un tempo si diceva uscire per il rotto della cuffia, alludendo all'antico gioco (o giostra) medievale del Saracino o della Quintana. Il cavaliere in gara, lanciata al galoppo la cavalcatura, doveva colpire un bersaglio o infilare la lancia in un anello portandolo via, evitando di essere abbattuto dall'automa girevole contro il quale si gettava. Se il braccio dell'automa si metteva in moto colpendo il copricapo (cuffia) del cavaliere, senza però abbattere quest'ultimo, si diceva che il cavaliere era uscito per il rotto della cuffia, insomma, che ce l'aveva fatta nonostante la cuffia fosse stata colpita o rotta. (torna al testo -11)


Nota 12

Capitano del signore di Mantova, Con il Savorgnan nacque quella che si sarebbe rivelata una duratura amicizia con il duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, condottiero di Venezia. (torna al testo -12)


Nota 13

Giulio Savorgnan (Osoppo , 11 novembre 1509- Venezia 15 luglio 1595)  appartenente alla omonima famiglia friulana fu un ingegnere militare e general d'altegliaria della Repubblica di Venezia. «Giulio, tu haverai l’impresa delle guardie et de le fabriche et de le fortificationi di questo monte et osserverai li ordini infrascripti». Nel 1528, sul finire della sua vita, Girolamo, padre di Giulio, informò la Repubblica di Venezia circa i compiti militari che intendeva riservare per i figli, lasciando precise disposizioni circa l’organizzazione della "propria"fortezza di Osoppo. In realtà,  però,maturò e sul "campo" innumerevoli capacità. Basta citare solo  alcuni dei luoghi ove il Savorgnan, nel corso degli anni, svolse importanti lavori di fortificazione, fornendo pareri ed elaborando progetti, sia In Terraferma che nello "Stato da Mar": Bergamo, Brescia, Orzinuovi, Legnago, Peschiera, Udine, Marano, Laguna di Venezia, Cattaro Zara, Corfù, Cerigo, Zante, Candia, Suda, Cerines, Famagosta, Nicosia, e, da ultimo, il suo capolavoro progettuale, la fortezza di Palmanova.E' bene sottolineare che il Savorgnan si formò, come suo fratello Mario, in un ambiente veneziano culturalmente dinamico, entrando in contatto, sia con gli esponenti del "sapere" scientifico di quegli anni, sia per citarne alcuni, Michele Sanmicheli, i membri del casato dei Della Rovere, il Luogotenente Lorenzo Priuli, il maestro d'armi Valerio Orsini, da cui nacquero nuove prospettive sulle influenze culturali e dell'arte della guerra. Basti ricordare, infatti,  che  la "Serenissima" rappresentò per l'Europa, l'avanguardia dal punto di vista architettonico, se già sul finire della seconda decade del millecinquecento, già abbandonava il bastione a forma circolare.   Il periodo che va a  partire dal 1581, per la notorietà acquisita dal Signore di Osoppo, fu caratterizzato da richieste di consulti e pareri che lo costrinsero ad allontanarsi dal Friuli.Ben presto, così, le nuove conoscenze e tecnologie di difesa furono portate oltre confine da maestranze specializzate e dalle conoscenze dei Savorgnan con gli imperi d'Europa. Giulio fu, inoltre, interessato ai problemi della scienza. Suoi i quesiti scritti al matematico Tartaglia relativi ai problemi del moto dei gravi in rapporto ai suoi interessi di balistica, suoi i rapporti di amicizia con Filippo Pigafetta, con cui tenne un’ampia corrispondenza anche di carattere scientifico. Famosa fu la sua raccolto a Osoppo di strumenti per sollevare pesi o altri marchingegni di carattere militare. Esperto di problemi di balistica lasciò diversi scritti in materia di artiglieria e di composizione delle polveri. Occorre infine ricordare che Savorgnan fu autore di alcuni scritti di architettura militare, tuttora inediti, specificamente rivolti alla soluzione dei problemi costruttivi dei baluardi e delle cortine delle fortezze. In una lettera scritta da Zara nel 1570 e pubblicata sotto il titolo di Discorso circa la difesa del Friuli, Savorgnan sottolineò la difficoltà di studiare un sistema difensivo efficace per quella linea di territorio così detta “porta aperta”, soprattutto per ciò che riguardava le invasioni turche. Ad avvalorare la sua tesi c’era il ricordo delle difese opposte all' inizio del '500, tutte riuscite inefficaci ad impedire le rapide offese di un nemico che, una volta superata la debole linea fortificatoria, risultava imprendibile poiché, come ricordava, "correr dietro a loro è come pigliare il vento". Nel 1587 fu nominato soprintendente generale delle artiglierie e delle fortezze veneziane, una carica ad personam che non prevedeva un termine di scadenza e che era stata espressamente creata per attagliarsi alle qualità e all’esperienza ormai raggiunta  che, a quel punto della sua carriera, si presentava come una delle più autorevoli e ascoltate figure della difesa dello Stato veneto e univa nella sua biografia professionale competenza tecnica, strategia difensiva e visione politica. Savorgnan completò nel 1594 Venticinque regole per la fortificazione basandolo su precedenti suoi scritti. Tale breve trattato che fu rinvenuto tra le carte di Galileo Galilei (studioso di arte militare ed autore di Breve Istruzione sull'architettura Militare) è direttamente legato alla costruzione di Palmanova. Tra il 1572 e la nomina a sovrintendente generale, trascorse lunghi periodi in Patria, facendo di Osoppo un centro dove coltivare gli interessi di studio e sperimentarne le applicazioni costruendo “machine”, ospitando illustri architetti e scienziati del tempo, come Bonaiuto Lorini o Filippo Pigafetta che lasciò un eloquente ricordo del suo soggiorno osovano.  Il Pigafetta parla del forte dei Savorgnan come di «una bottega d’arme», di «un magazino di macchine bellicose», ma anche di un luogo dove passavano uomini di cultura e di potere, dove «vanno et vengono signori et principi et ambasciatori ..… talché la sua casa viene ad essere un ridotto di persone virtuose et un albergo di soldati, et di dottori». Il Savorgnan, infatti aveva in quegli anni fatto di Osoppo il centro dove coltivare l’esercizio delle arti militari ma anche i dettami della vita cavalleresca («si armeggia, si va alla caccia, et in ogni attione si esercita vita cavalleresca» scriveva sempre Pigafetta) e dove intrattenere discussioni scientifiche. Le stesse che indussero  a frequentare assiduamente a Venezia lo studio e la biblioteca di Giacomo Contarini, uno dei ridotti culturali privati più rilevanti per la statura scientifica dei personaggi che lo frequentavano, per le discussioni che vi si intessevano, particolarmente per il dibattito tecnico scientifico, imperniato sulla matematica, sull’arte ossidionale, sulla tecnica militare, che costituiva sfondo indispensabile alla nuova politica difensiva dello stato. Cultura scientifica e politica, che per il Sovraintendente Generale furono sempre in stretta sinergia. (torna al testo -13)


Nota 14

Giacomo Fusto o Fusti, noto come Castriotto (Urbino, tra il 1501 e il 1510 –Calais 1563) fu un ingegnere e teorico dell'ingegneria militare, conosciuto soprattutto per il suo trattato Della fortificazione delle città stampato postumo a Venezia nel 1564 da Girolamo Maggi che curò i testi. Figlio di Pierantonio di Iacopo della nobile famiglia de' Fusti di Urbino, intraprese la carriera militare a servizio del duca Francesco Maria I  Della Rovere che Fusti considerò il suo primo maestro. In realtà si ritiene che nell'esercito urbinate ebbe modo di apprendere le tecniche dell'ingegneria militare dalla scuola di  Girolamo Genga .Nel dicembre del 1541 fu ancora in patria con il grado di capitano. Successivamente passò al servizio del re di Napoli Carlo V. Nel 1541 sposò a Napoli una Castriota che, probabilmente non apparteneva alla famiglia albanese dei Castriota. Comunque aggiunse al suo cognome quello della moglie, cioè Castriota, usò poi firmarsi "Castriotto" e inquartò nel proprio stemma l'aquila bicipite in campo rosso. A partire dal 1542 fu al servizio del papa e si occupò dell'ammodernamento di diverse fortificazioni, tra cui la complessa progettazione delle mura di Borgo, partecipando anche a campagne militari come l'assedio della Mirandola nel 1551 le cui fasi vennero illustrate e descritte nel suo trattato. Per la famiglia Caietani progettò il rafforzamento delle mura di Sermoneta con un innovativo bastione a "tenaglia". Nel 1553 passò temporaneamente al servizio di Cosimo I de Medici partecipando alla guerra di Siena. Nel 1555 tornò al servizio del papa occupandosi delle fortezze della campagna romana. Nel 1556 passò al servizio del re di Francia Enrico II, partecipando all'assedio di San Quintino , di Calais, diThionville. nel 1559 diventò sovrintendente generale delle fortezze del regno occupandosi di varie fortificazioni in Languedoc, Provenza, Lyonnais, Champagne, Picardia et Normandia, come lui stesso riferisce nel trattato. A partire dal 1560, progettò e diresse i lavori alle fortificazioni di Calais, dove morì. "Della fortificatione delle città" fu considerato come il più ampio e completo trattato d'ingegneria militare cinquecentesco. Il Castriotto fu l'autore delle parti dell'opera che avevano una stretta connotazione specialistica e dei bellissimi disegni illustrativi. L'umanista Girolamo Maggi sopperì alla scarsa cultura letterario del Fusti revisionando i testi. L'opera ebbe un certo successo e fu ristampata e tradotta varie volte nel corso del XVI secolo. Il trattato presenta una divisione in tre libri. Nel I libro troviamo argomenti generali di urbanistica, probabilmente con testi di Girolamo Maggi.Nel II libro vengono illustrati i vari tipi di soluzione possibile per circuiti fortificati, analizzando anche esempi di cui Castriotto ebbe esperienza diretta come Sermoneta, Calais e Mirandola.Il III libro è dedicato alle fortificazioni costiere.Ai tre libri si affiancano alcuni allegati tutti relativi all'attività professionale di Castriotto: il  "Discorso del capitan Francesco Montemellino Perugino sopra la fortificazione del Borgo di Roma", il "Trattato dell'ordinanze, o vero battaglie del capitan Giovacchino da Coniano e il Ragionamento del capitan IacomoCastriotto, sopra le fortezze fino ad hora fatte nella Francia et in molti altri luoghi". (torna al testo -14)


Nota 15

Francesco Laparelli(Cortona 5 aprile 1521– Candia 20 ottobre 1570) assistente di  Michelangelo e architetto fra i più importanti del '500 nel campo delle opere militari, fu ingegnere di Papa Pio IV e di Cosimo de' Medici. Laparelli traeva i natali da uno dei casati più ricchi ed illustri di Cortona. In gioventù si dedicò all'esercizio delle armi e allo studio della matematica e dell'architettura.Cruciale fu il suo incontro e la collaborazione con Gabrio Serbelloni, inviato dal duca Cosimo I de' Medici a Cortona per provvedere alle fortificazioni cittadine, nel contesto del conflitto tra Firenze e Siena. Nel 1560 Francesco Laparelli venne chiamato a Roma da Pio IV, sollecitato dal Serbelloni suo cugino, con l'incarico di restaurare le fortificazioni di Civitavecchia. Nello stesso anno progettò di munire di fortificazioni la nuova foce del Tevere e nel 1561 diresse i lavori di difesa al colle Vaticano.Nel 1565 terminò il grandioso pentagono bastionato di Castel Sant' Angelo e fece progredire la cinta bastionata del borgo presso il Vaticano; collaborò col Michelangelo Buonarroti nei lavori alla gran cupola della Basilica di San Pietro e scrisse sulla stabilità della cupola stessa. (torna al testo -15)

 

 

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